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Economia solidale e continuazione Enciclica Papa Francesco dal n. 61 al n. 80 (4)

Aggiornamento: 26 lug 2021

Buongiorno! Buon lunedì, buon inizio di settimana a tutti! Oggi scriverò sull'economia solidale.





Con il termine Economia Solidale si definisce un sistema economico alternativo a quello vigente (capitalismo finanziario, neoliberista, globalizzato); essa pone le sue basi sui concetti di Solidarietà, Filiera corta, Eticità e Giustizia.

La Solidarietà va intesa in due sensi:

  • L'azione Solidale di tutte le persone che agiscono per il bene della Comunità, anziché per il proprio profitto personale, come avviene invece nell'economia liberista.

  • La Solidarietà verso i soggetti più deboli, gli anziani, gli svantaggiati e tutti coloro che non potrebbero procurarsi una vita dignitosa attraverso il lavoro.

Per Filiera corta intendiamo il passaggio dei beni dal produttore al consumatore con il minor numero di passaggi, possibilmente diretto. Inoltre si tende a ridurre al minimo la distanza dai produttori e si scelgono prodotti stagionali.

Per eticità intendiamo metodi lavorativi rispettosi dell'ambiente, l'impiego di materie prime di qualità, la realizzazione di prodotti genuini, la sincerità nell'etichettatura.

Per giustizia intendiamo un rapporto equo con i lavoratori, assunti con contratti regolari e remunerati in modo adeguato.

Mentre nell'economia liberista si mette al centro il prezzo dei prodotti e il profitto dei produttori, nell'economia solidale questi due parametri perdono importanza; si dà invece enorme risalto alla qualità, intesa in molti sensi: la qualità dei prodotti, del lavoro, dello stile di vita e dell'impatto ambientale.

Il termine Solidale non deve trarre in inganno facendoci credere che questo tipo di economia sia in qualche modo povera. Al contrario, parliamo di un'economia ricca, in cui la ricchezza è distribuita in modo equo e non si basa sullo sfruttamento umano, animale o ambientale. Il liberismo invece, da molti percepito come un'economia ricca, si rivela in realtà povero, perchè accentra le ricchezze nelle mani di pochi, non garantendo una vita dignitosa a miliardi di persone e sfruttando l'ambiente oltre le sue potenzialità.


Perché la convenienza e il risparmio estremi non sono compatibili con un sistema equo? Il motivo è che quando si mira ad abbassare costantemente il prezzo dei prodotti si vanno ad abbattere principalmente lo stipendio dei lavoratori, le loro condizioni di sicurezza, la salvaguardia dell'ambiente e spesso anche la qualità del prodotto stesso.


Tratto in inganno dalla filosofia capitalista, il consumatore, concentrandosi quasi esclusivamente sul prezzo, viene indotto ad acquistare merci realizzate all'estero, senza considerare lo sfruttamento e la scarsa qualità che c'è alla base e senza valutare minimamente l'impatto economico di questa scelta.





In effetti il risparmio conseguito in questo modo è finalizzato esclusivamente ad un profitto personale e non tiene in considerazione l'impoverimento collettivo che ne consegue. Pagare un prezzo più elevato per acquistare prodotti di qualità locali, porta i lavoratori ad ottenere stipendi più elevati che permettono loro l'acquisto di prodotti a loro volta migliori: è una spirale verso l'alto che si autoalimenta, mentre possiamo ben osservare la spirale verso il basso portata dal Capitalismo. Tante piccole e medie imprese sono costrette a chiudere, nonostante l'elevata qualità, solamente perché non riescono ad essere competitive in termini di prezzi. Ciò porta ad una perdita progressiva di posti di lavoro, aumento della microcriminalità e disagi sociali di ogni genere.


L'Economia Solidale può quindi essere la soluzione ai problemi che stanno affliggendo l'Italia e il mondo intero:

  • Economici: contrastando la disoccupazione, garantendo più posti di lavoro, meglio retribuiti, più sicuri e dignitosi.

  • Ambientali: il modello produttivo rurale è quello dell'agricoltura biologica e biodinamica e dell'allevamento non intensivo, con minor uso di sostanze nocive; mentre per il settore secondario si preferisce l'artigianato alla produzione industriale riducendo quindi fortemente l'inquinamento.

  • Sociali: dietro ogni prodotto c'è il volto umano di chi lo ha realizzato; le persone svantaggiate e gli anziani non vengono lasciati soli; la comunità, più ricca, può finanziare servizi migliori, dalla scuola alla sanità.

Ma non è solo questo. Alla base ci sono dei valori elevati che possiamo identificare nei concetti di giustizia, equità, rispetto. Si tratta di un vero e proprio cambiamento filosofico: educare ed educarci a valori nuovi, a guardare oltre noi stessi e ai nostri piccoli interessi, ad aprirci agli altri, a ricominciare a sognare (Mario Bruscella), dal web.


Esistono sul territorio nazionale i Gruppi di Acquisto Solidale (G.A.S.). Alcune mie amiche ne fanno parte e me ne hanno parlato in modo molto positivo! La loro soddisfazione risiede nel fatto di promuovere un'economia locale e dare modo alle realtà produttrici di cibo del territorio in cui ognuno abita, a non essere fagocitate dai colossi multinazionali e di acquistare prodotti sani e a km zero!





Sotto spiegazione dei G.A.S. presa dalla rete:


Un G.A.S. Gruppo di Acquisto Solidale nasce mettendo in contatto numerose famiglie e alcuni produttori. Il G.A.S. opera senza scopo di lucro, con consapevolezza della dimensione politica del consumo: le persone o le famiglie intendono esercitare una forma di consumo critico, basato sulla conoscenza e la qualità del prodotto e del tipo di produzione, sulla giusta retribuzione del produttore. Il termine “solidale” assume più significati:

  • solidarietà nei confronti del produttore (“ti conosco, capisco il valore di quello che fai, partecipo con te nella filiera”), valorizzando il piccolo rispetto al grande (piccolo contadino contro grande distribuzione organizzata); i prodotti locali (e quindi stagionali) contro l’importazione da paesi lontani delle primizie; la riscoperta e la tutela di prodotti e sapori del territorio dove abitiamo.

  • solidarietà nei confronti degli altri aderenti al GAS: far parte di un Gruppo d’Acquisto significa, in primo luogo, fare del volontariato. Il GAS non è un negozio; ma un gruppo di persone e consumatori che comprano insieme i beni di consumo, condividendo i principi in base ai quali si scelgono i produttori. Ciascuno apporta nel GAS il proprio personale contributo.

Sono acquistabili tramite la rete di approvvigionamento prodotti alimentari (frutta e verdura, carne, farine, miele, ...), ma anche di consumo quotidiano (detergenti e detersivi,...), scelti seguendo i principi generali che sono alla base dello Statuto dell’Associazione. Il progetto sostiene e rafforza i legami attuali tra GAS e i produttori agricoli in un rapporto di collaborazione, creando un terreno favorevole allo sviluppo dei soggetti coinvolti attraverso:

  • una collaborazione formalizzata e continuativa;

  • il miglioramento delle reti di approvvigionamento e di distribuzione;

  • la divulgazione al pubblico degli obiettivi della filiera corta e dei GAS.

I GAS hanno sfruttato da subito le potenzialità di internet per facilitare gli scambi di idee e opinioni, attivando i blog dove tutti (anche gli esterni al GAS) potessero lasciare i propri contributi. Al crescere del numero dei partecipanti, internet è diventato lo strumento indispensabile anche per garantire una gestione razionale degli ordini, delle consegne e delle fatture tramite specifico software gestionale web con accesso riservato, denominato “PortAlGas”.


Se volete saprene di più sui G.A.S., ecco un indirizzo dove potrete trovare altre informazioni https://www.portalgas.it/cos-e-un-g-a-s-gruppo-d-acquisto-solidale


Vi invito a leggere anche queste riflessioni di Papa Francesco sull'economia che non guarda in faccia nessuno e riduce gli uomini a numeri, ad essere usati, sfruttati, strizzati e poi buttati via (https://www.diocesifaenza.it/wp-content/uploads/2017/04/2015ECSECPAPA-FRANCESCO.pdf)



Continuazione Enciclica di Papa Francesco sulla Fraternità e l'amicizia sociale dal paragrafo n. 61 al n. 80.

61. C’è una motivazione per allargare il cuore in modo che non escluda lo straniero, e la si può trovare già nei testi più antichi della Bibbia. È dovuta al costante ricordo del popolo ebraico di aver vissuto come straniero in Egitto: «Non molesterai il forestiero né l’opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto» (Es 22,20). «Non opprimerai il forestiero: anche voi conoscete la vita del forestiero, perché siete stati forestieri in terra d’Egitto» (Es 23,9). «Quando un forestiero dimorerà presso di voi nella vostra terra, non lo opprimerete. Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato tra voi; tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto» (Lv 19,33-34). «Quando vendemmierai la tua vigna, non tornerai indietro a racimolare. Sarà per il forestiero, per l’orfano e per la vedova. Ricordati che sei stato schiavo nella terra d’Egitto» (Dt 24,21-22). Nel Nuovo Testamento risuona con forza l’appello all’amore fraterno: «Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Gal 5,14). 16«Chi ama suo fratello, rimane nella luce e non vi è in lui occasione d’inciampo. Ma chi odia suo fratello, è nelle tenebre» (1 Gv 2,10-11). «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte» (1 Gv 3,14). «Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1 Gv 4,20).




62. Anche questa proposta di amore poteva essere fraintesa. Non per nulla, davanti alla tentazione delle prime comunità cristiane di formare gruppi chiusi e isolati, San Paolo esortava i suoi discepoli ad avere carità tra di loro «e verso tutti» (1 Ts 3,12); e nella comunità di Giovanni si chiedeva che fossero accolti bene i «fratelli, benché stranieri» (3 Gv 5). Tale contesto aiuta a comprendere il valore della parabola del buon samaritano: all’amore non importa se il fratello ferito viene da qui o da là. Perché è l’«amore che rompe le catene che ci isolano e ci separano, gettando ponti; amore che ci permette di costruire una grande famiglia in cui tutti possiamo sentirci a casa […]. Amore che sa di compassione e di dignità».[56]


L’abbandonato


63. Gesù racconta che c’era un uomo ferito, a terra lungo la strada, che era stato assalito. Passarono diverse persone accanto a lui ma se ne andarono, non si fermarono. Erano persone con funzioni importanti nella società, che non avevano nel cuore l’amore per il bene comune. Non sono state capaci di perdere alcuni minuti per assistere il ferito o almeno per cercare aiuto. Uno si è fermato, gli ha donato vicinanza, lo ha curato con le sue stesse mani, ha pagato di tasca propria e si è occupato di lui. Soprattutto gli ha dato una cosa su cui in questo mondo frettoloso lesiniamo tanto: gli ha dato il proprio tempo. Sicuramente egli aveva i suoi programmi per usare quella giornata secondo i suoi bisogni, impegni o desideri. Ma è stato capace di mettere tutto da parte davanti a quel ferito, e senza conoscerlo lo ha considerato degno di ricevere il dono del suo tempo.





64. Con chi ti identifichi? Questa domanda è dura, diretta e decisiva. A quale di loro assomigli? Dobbiamo riconoscere la tentazione che ci circonda di disinteressarci degli altri, specialmente dei più deboli. Diciamolo, siamo cresciuti in tanti aspetti ma siamo analfabeti nell’accompagnare, curare e sostenere i più fragili e deboli delle nostre società sviluppate. Ci siamo abituati a girare lo sguardo, a passare accanto, a ignorare le situazioni finché queste non ci toccano direttamente.


65. Aggrediscono una persona per la strada, e molti scappano come se non avessero visto nulla. Spesso ci sono persone che investono qualcuno con la loro automobile e fuggono. Pensano solo a non avere problemi, non importa se un essere umano muore per colpa loro. Questi però sono segni di uno stile di vita generalizzato, che si manifesta in vari modi, forse più sottili. Inoltre, poiché tutti siamo molto concentrati sulle nostre necessità, vedere qualcuno che soffre ci dà fastidio, ci 17disturba, perché non vogliamo perdere tempo per colpa dei problemi altrui. Questi sono sintomi di una società malata, perché mira a costruirsi voltando le spalle al dolore.


66. Meglio non cadere in questa miseria. Guardiamo il modello del buon samaritano. È un testo che ci invita a far risorgere la nostra vocazione di cittadini del nostro Paese e del mondo intero, costruttori di un nuovo legame sociale. È un richiamo sempre nuovo, benché sia scritto come legge fondamentale del nostro essere: che la società si incammini verso il perseguimento del bene comune e, a partire da questa finalità, ricostruisca sempre nuovamente il suo ordine politico e sociale, il suo tessuto di relazioni, il suo progetto umano. Coi suoi gesti il buon samaritano ha mostrato che «l’esistenza di ciascuno di noi è legata a quella degli altri: la vita non è tempo che passa, ma tempo di incontro».[57]


67. Questa parabola è un’icona illuminante, capace di mettere in evidenza l’opzione di fondo che abbiamo bisogno di compiere per ricostruire questo mondo che ci dà pena. Davanti a tanto dolore, a tante ferite, l’unica via di uscita è essere come il buon samaritano. Ogni altra scelta conduce o dalla parte dei briganti oppure da quella di coloro che passano accanto senza avere compassione del dolore dell’uomo ferito lungo la strada. La parabola ci mostra con quali iniziative si può rifare una comunità a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione, ma si fanno prossimi e rialzano e riabilitano l’uomo caduto, perché il bene sia comune. Nello stesso tempo, la parabola ci mette in guardia da certi atteggiamenti di persone che guardano solo a sé stesse e non si fanno carico delle esigenze ineludibili della realtà umana.


68. Il racconto, diciamolo chiaramente, non fa passare un insegnamento di ideali astratti, né si circoscrive alla funzionalità di una morale etico-sociale. Ci rivela una caratteristica essenziale dell’essere umano, tante volte dimenticata: siamo stati fatti per la pienezza che si raggiunge solo nell’amore. Vivere indifferenti davanti al dolore non è una scelta possibile; non possiamo lasciare che qualcuno rimanga “ai margini della vita”. Questo ci deve indignare, fino a farci scendere dalla nostra serenità per sconvolgerci con la sofferenza umana.


Questo è dignità.


Una storia che si ripete


69. La narrazione è semplice e lineare, ma contiene tutta la dinamica della lotta interiore che avviene nell’elaborazione della nostra identità, in ogni esistenza proiettata sulla via per realizzare la fraternità umana. Una volta incamminati, ci scontriamo, immancabilmente, con l’uomo ferito. Oggi, e sempre di più, ci sono persone ferite. L’inclusione o l’esclusione di chi soffre lungo la strada definisce tutti i progetti economici, politici, sociali e religiosi. Ogni giorno ci troviamo davanti alla scelta di essere buoni samaritani oppure viandanti indifferenti che passano a distanza. E se estendiamo lo sguardo alla totalità della nostra storia e al mondo nel suo insieme, tutti siamo o siamo stati come questi personaggi: tutti abbiamo qualcosa dell’uomo ferito, qualcosa dei briganti, qualcosa di quelli che passano a distanza e qualcosa del buon samaritano.


70. È interessante come le differenze tra i personaggi del racconto risultino completamente trasformate nel confronto con la dolorosa manifestazione dell’uomo caduto, umiliato. Non c’è più distinzione tra abitante della Giudea e abitante della Samaria, non c’è sacerdote né commerciante; semplicemente ci sono due tipi di persone: quelle che si fanno carico del dolore e quelle che passano a distanza; quelle che si chinano riconoscendo l’uomo caduto e quelle che distolgono lo sguardo e affrettano il passo. In effetti, le nostre molteplici maschere, le nostre etichette e i nostri travestimenti cadono: è l’ora della verità. Ci chineremo per toccare e curare le ferite degli altri? Ci chineremo per caricarci sulle spalle gli uni gli altri? Questa è la sfida attuale, di cui non dobbiamo avere paura. Nei momenti di crisi la scelta diventa incalzante: potremmo dire che, in questo momento, chiunque non è brigante e chiunque non passa a distanza, o è ferito o sta portando sulle sue spalle qualche ferito.


71. La storia del buon samaritano si ripete: risulta sempre più evidente che l’incuranza sociale e politica fa di molti luoghi del mondo delle strade desolate, dove le dispute interne e internazionali e i saccheggi di opportunità lasciano tanti emarginati a terra sul bordo della strada. Nella sua parabola, Gesù non presenta vie alternative, come ad esempio: che cosa sarebbe stato di quell’uomo gravemente ferito o di colui che lo ha aiutato se l’ira o la sete di vendetta avessero trovato spazio nei loro cuori? Egli ha fiducia nella parte migliore dello spirito umano e con la parabola la incoraggia affinché aderisca all’amore, recuperi il sofferente e costruisca una società degna di questo nome.


I personaggi


72. La parabola comincia con i briganti. Il punto di partenza che Gesù sceglie è un’aggressione già consumata. Non fa sì che ci fermiamo a lamentarci del fatto, non dirige il nostro sguardo verso i briganti. Li conosciamo. Abbiamo visto avanzare nel mondo le dense ombre dell’abbandono, della violenza utilizzata per meschini interessi di potere, accumulazione e divisione. La domanda potrebbe essere: lasceremo la persona ferita a terra per correre ciascuno a ripararsi dalla violenza o a inseguire i banditi? Sarà quel ferito la giustificazione delle nostre divisioni inconciliabili, delle nostre indifferenze crudeli, dei nostri scontri intestini?


73. Poi la parabola ci fa fissare chiaramente lo sguardo su quelli che passano a distanza. Questa pericolosa indifferenza di andare oltre senza fermarsi, innocente o meno, frutto del disprezzo o di una triste distrazione, fa dei personaggi del sacerdote e del levita un non meno triste riflesso di quella distanza che isola dalla realtà. Ci sono tanti modi di passare a distanza, complementari tra loro. Uno è ripiegarsi su di sé, disinteressarsi degli altri, essere indifferenti. Un altro sarebbe guardare solamente al di fuori. Riguardo a quest’ultimo modo di passare a distanza, in alcuni Paesi, o in certi settori di essi, c’è un disprezzo dei poveri e della loro cultura, e un vivere con lo sguardo rivolto al di fuori, come se un progetto di Paese importato tentasse di occupare il loro posto. Così si può giustificare l’indifferenza di alcuni, perché quelli che potrebbero toccare il loro cuore con le loro richieste semplicemente non esistono. Sono fuori dal loro orizzonte di interessi.


74. In quelli che passano a distanza c’è un particolare che non possiamo ignorare: erano persone religiose. Di più, si dedicavano a dare culto a Dio: un sacerdote e un levita. Questo è degno di speciale nota: indica che il fatto di credere in Dio e di adorarlo non garantisce di vivere come a Dio piace. Una persona di fede può non essere fedele a tutto ciò la fede stessa esige, e tuttavia può sentirsi vicina a Dio e ritenersi più degna degli altri. Ci sono invece dei modi di vivere la fede che favoriscono l’apertura del cuore ai fratelli, e quella sarà la garanzia di un’autentica apertura a Dio. San Giovanni Crisostomo giunse ad esprimere con grande chiarezza tale sfida che si presenta ai cristiani: «Volete onorare veramente il corpo di Cristo? Non disprezzatelo quando è nudo. Non onoratelo nel tempio con paramenti di seta, mentre fuori lo lasciate a patire il freddo e la nudità».[58] Il paradosso è che, a volte, coloro che dicono di non credere possono vivere la volontà di Dio meglio dei credenti.



75. I “briganti della strada” hanno di solito come segreti alleati quelli che “passano per la strada guardando dall’altra parte”. Si chiude il cerchio tra quelli che usano e ingannano la società per prosciugarla e quelli che pensano di mantenere la purezza nella loro funzione critica, ma nello stesso tempo vivono di quel sistema e delle sue risorse. C’è una triste ipocrisia là dove l’impunità del delitto, dell’uso delle istituzioni per interessi personali o corporativi, e altri mali che non riusciamo a eliminare, si uniscono a un permanente squalificare tutto, al costante seminare sospetti propagando la diffidenza e la perplessità. All’inganno del “tutto va male” corrisponde un “nessuno può aggiustare le cose”, “che posso fare io?”. In tal modo, si alimenta il disincanto e la mancanza di speranza, e ciò non incoraggia uno spirito di solidarietà e di generosità. Far sprofondare un popolo nello scoraggiamento è la chiusura di un perfetto circolo vizioso: così opera la dittatura invisibile dei veri interessi occulti, che si sono impadroniti delle risorse e della capacità di avere opinioni e di pensare.


76. Guardiamo infine all’uomo ferito. A volte ci sentiamo come lui, gravemente feriti e a terra sul bordo della strada. Ci sentiamo anche abbandonati dalle nostre istituzioni sguarnite e carenti, o rivolte al servizio degli interessi di pochi, all’esterno e all’interno. Infatti, «nella società globalizzata, esiste una maniera elegante di guardare dall’altra parte che si pratica abitualmente: sotto il rivestimento del politicamente corretto o delle mode ideologiche, si guarda alla persona che soffre senza toccarla, la si mostra in televisione in diretta, si adotta anche un discorso all’apparenza tollerante e pieno di eufemismi».[59]


Ricominciare


77. Ogni giorno ci viene offerta una nuova opportunità, una nuova tappa. Non dobbiamo aspettare tutto da coloro che ci governano, sarebbe infantile. Godiamo di uno spazio di corresponsabilità capace di avviare e generare nuovi processi e trasformazioni. Dobbiamo essere parte attiva nella riabilitazione e nel sostegno delle società ferite. Oggi siamo di fronte alla grande occasione di esprimere il nostro essere fratelli, di essere altri buoni samaritani che prendono su di sé il dolore dei fallimenti, invece di fomentare odi e risentimenti. Come il viandante occasionale della nostra 20storia, ci vuole solo il desiderio gratuito, puro e semplice di essere popolo, di essere costanti e instancabili nell’impegno di includere, di integrare, di risollevare chi è caduto; anche se tante volte ci troviamo immersi e condannati a ripetere la logica dei violenti, di quanti nutrono ambizioni solo per sé stessi e diffondono la confusione e la menzogna. Che altri continuino a pensare alla politica o all’economia per i loro giochi di potere. Alimentiamo ciò che è buono e mettiamoci al servizio del bene.






78. È possibile cominciare dal basso e caso per caso, lottare per ciò che è più concreto e locale, fino all’ultimo angolo della patria e del mondo, con la stessa cura che il viandante di Samaria ebbe per ogni piaga dell’uomo ferito. Cerchiamo gli altri e facciamoci carico della realtà che ci spetta, senza temere il dolore o l’impotenza, perché lì c’è tutto il bene che Dio ha seminato nel cuore dell’essere umano. Le difficoltà che sembrano enormi sono l’opportunità per crescere, e non la scusa per la tristezza inerte che favorisce la sottomissione. Però non facciamolo da soli, individualmente. Il samaritano cercò un affittacamere che potesse prendersi cura di quell’uomo, come noi siamo chiamati a invitare e incontrarci in un “noi” che sia più forte della somma di piccole individualità; ricordiamoci che «il tutto è più delle parti, ed è anche più della loro semplice somma».[60] Rinunciamo alla meschinità e al risentimento dei particolarismi sterili, delle contrapposizioni senza fine. Smettiamo di nascondere il dolore delle perdite e facciamoci carico dei nostri delitti, della nostra ignavia e delle nostre menzogne. La riconciliazione riparatrice ci farà risorgere e farà perdere la paura a noi stessi e agli altri.


79. Il samaritano della strada se ne andò senza aspettare riconoscimenti o ringraziamenti. La dedizione al servizio era la grande soddisfazione davanti al suo Dio e alla sua vita, e per questo un dovere. Tutti abbiamo una responsabilità riguardo a quel ferito che è il popolo stesso e tutti i popoli della terra. Prendiamoci cura della fragilità di ogni uomo, di ogni donna, di ogni bambino e di ogni anziano, con quell’atteggiamento solidale e attento, l’atteggiamento di prossimità del buon samaritano.


Il prossimo senza frontiere


80. Gesù propose questa parabola per rispondere a una domanda: chi è il mio prossimo? La parola “prossimo” nella società dell’epoca di Gesù indicava di solito chi è più vicino, prossimo. Si intendeva che l’aiuto doveva rivolgersi anzitutto a chi appartiene al proprio gruppo, alla propria razza. Un samaritano, per alcuni giudei di allora, era considerato una persona spregevole, impura, e pertanto non era compreso tra i vicini ai quali si doveva dare aiuto. Il giudeo Gesù rovescia completamente questa impostazione: non ci chiama a domandarci chi sono quelli vicini a noi, bensì a farci noi vicini, prossimi.






E dopo queste riflessioni, vi auguro un felice inizio di settimana nell'ottica della solidarietà, dell'amore verso noi stessi e il prossimo! Ciao!

 
 
 

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