4° lunedì del mese (ottobre 2020) – l lunedì della poesia, del racconto...Carlo Sgorlon!
- Sara Hoban
- 26 ott 2020
- Tempo di lettura: 13 min
Buon lunedì a tutti!
Stavolta non mi occuperò di autori vivi, ma di quelli morti.
Morti abbastanza recenti...2009!
Morti fisicamente, ma vivi per sempre attraverso le loro opere!
Adoro Carlo Sgorlon.
Di solito vado a dormire molto presto, e in questi giorni dicevo a mio marito:
“Ciao Alberto, oggi vado a dormire con Carlo!”
e lui sgrana gli occhi e mi dice:
“Con chi?”
“Con Carlo no? Carlo Sgorlon! Lo conosci pure tu, no? "
E ci facciamo una risata!
Beh, ho scoperto l’autore Carlo Sgorlon negli anni ’80, al ginnasio. Leggemmo il “Vento nel vigneto” ed è stato uno dei pochi libri letti a scuola che mi è rimasto appiccicato addosso.
Poi, quando mia cugina Daša mi ha detto di aver fatto una ricerca su Carlo Sgorlon come tesina a fine liceo, le ho chiesto di prestarmela, poiché ero interessata ad approfondire la conoscenza di Sgorlon. E l'amore per Sgorlon aumentò!

E' successo che ho consigliato di leggere i libri di Sgorlon a mio marito e ne fu entusiasta! Nel 2007 cercavamo di acquistare il libro »L'armata dei fiumi perduti«, ma
non riuscimmo a trovarlo ne in libreria, ne in rete, ne ai vari mercatini.
Fu così che chiamammo Radio 3, la trasmissione Fahrenheit , la rubrica »Caccia al libro« e ci dissero che un signore di Merano ci regalava il libro e se eravamo disposti a venirlo a prendere a Riva del Garda, dove avevano allestito la trasmissione all'aperto sulle rive del Lago di Garda.
Non ce lo facemmo ripetere due volte!
Ci andammo, Alberto fu intervistato dal direttore di Radio 3, Marino Sinibaldi e conoscemmo Laura Zanacchi, la regista della trasmissione e Susanna Tartaro, la curatrice del programma, tutti molto gentili ed accoglienti!
Alberto e il signore che donava il libro erano seduti sul palco e dissertavano con Sinibaldi su Sgorlon.

Alberto (secondo da sx) e il signore con il libro di Sgorlon in mano a Riva del Garda
Fu molto bello! Poi, il libro fu ceduto nelle mani di Alberto, rimanemmo fino alla fine della trasmissione radiofonica, poi salutammo tutti e ce ne andammo ad ammirare le bellezze di Riva del Garda!

Una bella cornice per il passaggio di un libro da una persona ad un altra non c'è che dire!

Mi sono chiesta tante volte perché adoro Carlo Sgorlon, si, perché lo adoro veramente!
Quando inizio a leggere un suo libro, ho difficoltà a staccarmene! Non vedo l'ora di andare a letto, la sera, per leggerlo, o di trovare un momento vuoto nella giornata per incollarmi alle sue storie!
Parla dei nostri luoghi, ma anche di luoghi lontani, però in qualche modo collegati al suo Friuli. Sgorlon si rivolge direttamente all'anima, ai sentimenti dell'uomo, va dritto al cuore del problema.
Si, gli argomenti che tratta sono molteplici ed affascinanti, ma ancor più affascinante è il suo linguaggio, ad esempio: ...
«tutto sbiadiva nella caligine della calura stagnante«...
...«lui era già sottoterra da una cascata di anni«...
«perso ormai nelle livide vacuità della vecchiaia«...
«...e sentì nel suo spirito lo scricchiolio di un presagio«...
«...dentro di lui era spuntato un cespuglio fitto di sentimenti malnoti, come nella buca di un albero sradicato spuntano presto erbacce di ogni sorta«...
...i suoi occhi parevano dormire sotto il velo grigio della cateratta...
...«perchè aveva capito che per accettare i colpi di ariete della vita non v'era altro modo che avvolgerli nelle carte colorate della fantasia...«
...«Eva, dalla piattaforma della sua impetuosa terrestrità, sentiva che gli uomini non avevano più vitalità, perchè non erano più in contatto con l'essere, con la fonte della vita e il mistero delle origini«...
Non si può rimanere indifferenti a queste frasi, impastate di aggettivi ricercati, metafore, frasi che evocano immagini fantastiche, intrise di fiabesche avventure! Leggendole, me le sento sulla pelle! »La caligine della calura stagnante«, ad esempio...

Sgorlon è un precursore dei tempi. Già negli anni '80 del secolo scorso parlava della civiltà impazzita che andava verso il suicidio: »Gli uomini di oggi (e lo scrive in un romanzo degli anni '80!) infatti erano da un tempo infinito inseguiti dalle furie, che essi scambiavano per desiderio di costruire una civiltà più comoda e umana. Separati dall'essere, vivere per se stessi e la propria individualità insaziabile, significava staccarsi dalla fonte medesima della vita e dal senso misterioso delle cose«. (tratto da »La fontana di Lorena«)
Attraverso i suoi personaggi, soprattutto personaggi di genere femminile che Sgorlon ama e rispetta con tutto il suo essere, riesce ad esprimere i suoi sentimenti più profondi, legati alla terra, all'amore, al mistico, al magico!
Potrei definire Carlo Sgorlon uno sciamano della scrittura.
Nei suoi romanzi si respira il suo amore per la natura, per l'uomo che rispetta la natura, che vive in simbiosi con lei.
Riesce a mostrare il suo disprezzo per personaggi avidi e bramosi con un linguaggio poetico che mi emoziona nel profondo. Mai l'uso di parole volgari!
Nel romanzo »L'ultima valle« in cui parla del disastro del Vajont, scrive:
...«...era come se all'interno dell'immenso cantiere andasse crescendo e sviluppandosi un'ombra misteriosa, che creava disagi inesplicabili«... e già si presagisce la tragedia!
Trascriverò un capoverso un po' lungo, tratto da »La fontana di Lorena« per farvi capire la sciamanità di Sgorlon – un mago, un mistico e poeta che vede nel futuro:
»Da ogni lato quella loro famiglia sarebbe stata anomala, piena di sproporzioni per difetto e per eccesso, ma bisognava prendere quello che veniva, senza troppi rimpianti per ciò che mancava. Però, Dio mio, come sarebbe stata la vita di quei due neonati? Eva non si preoccupava se avrebbero avuto beni a sufficienza, perché di essi niente le importava. Ma ci sarebbero stati per loro aria, acqua, terra sana, foreste? Avrebbero dovuto usare per tutta la vita delle taniche per bere, come la gente di Adegliano all'epoca dell'acquedotto inquinato, e delle bombole per respirare? Era già pronto l'avvelenamento collettivo che gli avrebbe mandati all'altro mondo, o il virus che avrebbe sviluppato nel loro sangue la malattia che aveva una sigla al posto del nome, e che non si poteva curare?«
Altri scrittori e poeti hanno intuito che la direzione in cui procede l'umanità sarebbe stata complicata, tra loro anche il »nostro« Carlo Sgorlon!

Sgorlon riusciva a contattare l'anima del mondo, degli inferi e delle stelle! Entrava in essi e prendeva ciò che gli serviva per scrivere i suoi romanzi. Per la delizia di tutti noi che lo leggiamo!
Mi dispiace moltissimo di non aver conosciuto e ascoltato Carlo Sgorlon da vivo.
Cercando in internet ho trovato la notizia che il Comune di Udine, riunitori nel mese di maggio di quest'anno, farà erigere una statua, per ricordare Carlo Sgorlon, e precisamente all’ingresso della Biblioteca Civica Joppi di Udine, un luogo simbolico poiché è stato uno dei luoghi prediletti dei studi umanistici di Sgorlon.
Poi ho scoperto pure che “Il trono di legno” (Leseni prestol Traduzione - Neva Godini - Cop. Delo - Ljubljana 1975 – Izdrava Založba –) e “Gli dei torneranno” (Bogovi se bodo vrnili – Traduzione Jaša L.Zlobec PREŠERNOVA DRUŽBA – Ljubljana,1980) sono stati tradotti nella mia lingua madre, lo sloveno! Me li procurerò sicuramente! Curiosissima di leggere la traduzione in sloveno!

Carlo Sgorlon
Sotto, due interviste fatte alla moglie di Carlo Sgorlon, Edda Agarinis, pubblicate sul Messaggero Veneto. La prima dell’anno 2006, quando Carlo era ancora vivo e la seconda dell’anno 2019, al decimo anniversario della morte.
Mio marito Carlo Sgorlon ambasciatore nel mondo dell'antica saga del Friuli di Elena Commessatti dal Messaggero Veneto del 29.10.2006
Udine, via Micesio, agli ultimi piani. Un'onda bianca di montagne targate Friuli davanti a noi. «Si accomodi. Ora le chiamo mio marito. Vuole un gingerino?». Edda Agarinis, 'Signora Sgorlon" dal 21 ottobre 1961, ci è venuta a prendere all'ascensore. Aperta la porta al pianoterra, oplà, c'era già lei, con grandi occhi sotto gli occhiali déco, un sobrio chignon, un sorriso garbato. Timido, forse. «Parlerò di Carlo, ma preferisco che mio marito sia qui». «E perché?». «Quando parlo di lui sono come un fiume in piena, ma non sono mica Santippe, questo no». Entra il professore. È di buon'umore: in libreria, con risultati lusinghieri, c'è la sua ultima opera, 'Il velo di Maya". Professore, un libro con un'orchestra di donne. E sua moglie che donna è? Carlo Sgorlon: «Un'archivista totalizzante, universale». Un'assistente, dunque. Mia moglie conserva tutto. I miei articoli, i giudizi su di me, gli incontri avvenuti. Le edizioni dei libri, le tesi di laurea su di me... (Edda ci mostra una specie di tazebao fatto con un collage di copertine) Come farebbe senza di lei? Farei, farei. Ma è vero. È la mia memoria. (sorride) Commovente il lavoro dietro le quinte della consorte. Possiamo dirlo? (interviene) Edda Sgorlon: «Mio marito mi ha appassionato alla letteratura, ai problemi moderni, non posso che ringraziarlo. Lui valorizza i miei interessi. E mi lascia fare». Quali le scrittrici amate da suo marito? Elsa Morante. E Karen Blixen, con tutti i suoi racconti. La Blixen degli epistolari, delle 'sette novelle gotiche". Dei 'Capricci del destino". E 'La mia Africa"? Un po' meno. Preferenze maschili. Legge tutte le letterature del mondo. Potrei dire gli autori sudamericani. Ma anche Thomas Mann. Isaac Singer e Günther Grass. Su Borges ha pubblicato un saggio quando era conosciuto assai poco. Quali altre intuizioni? Nell'aprile del '76 per le scuole medie uscì un libro con tre racconti. Uno suo, uno di Tito Maniacco, uno di Licio Damiani. Fu Carlo a intitolarlo 'I racconti di Nord-Est". Era la prima volta. Una felice intuizione per identificare la specificità della nostra regione. Ah, però. Senta, suo marito è uno scrittore amato? Carlo o lo si ama e moltissimo o lo si ignora completamente. A esempio? La nipote di Tolstoj, Tatiana, disse a mio marito: 'Lei mi ricorda particolarmente mio nonno". Tanti i giudizi positivi su di lui in così tanto tempo. Gli accademici, Carlo Bo. Quirino Principe lo definì: «Il miglior frutto della sua terra». E la gente comune? Lui scrive semplice, si fa capire. È un gran narratore di storie avvincenti, fiabesche, magiche. E gli succedono cose magiche. La figlia di un ingegnere tedesco che aveva lavorato alla ferrovia transiberiana, alla sua morte, volle che sulla bara venisse deposto un mazzetto di fiori celesti della Siberia. E che fosse letto un brano dalla 'Conchiglia di Anataj". Le ricordava l'infanzia del padre. Gianni Giuricin disse: «Le chiavi dell'Istria a Sgorlon», come gratitudine degli esuli. E allora chi è che lo ignora? Una certa stampa. E perché? Penso sia per ragioni ideologiche. O per opposte poetiche. Il solito problema delle appartenze... Mio marito è semplicemente un «conservatore di cose buone». Ha alti valori morali. E un'etica. E se parla dei suoi colleghi, non fa dipendere il suo giudizio dall'ideologia ma dal valore letterario. Si è mai dovuto difendere? Per un'intervista telefonica fu accusato da tutta l'intellighenzia italiana di razzismo e antiebraismo, mentre i suoi romanzi riflettono una grande simpatia per il popolo ebraico. Primo Levi, Giorgio Bassani, Rossana Ombres furono suoi cari amici. Per fortuna ebbe la solidarietà di Illy, allora sindaco di Trieste e di Roberto Damiani, presidente della Risiera di San Sabba. Un vero linciaggio morale. Cercarono di distruggere la sua immagine che è quella di un vero galantuomo. E lei, come lo vede suo marito? È, come alla svolta di una strada, scoprire un paesaggio nuovo, di ampio orizzonte. Mi piace la sua poetica che evidenzia l'importanza dello spiritualismo. Uhm... nel senso di magico? Nel senso di mitico. Lui vuole rimitizzare il mondo. È convinto che tutto il pensiero e il sentimento dell'uomo sia soggetto al potere del mito. E in chiave friulana? Far affiorare l'inconscio collettivo friulano è l'humus per operare bene in tempi moderni. Le leggende ci salveranno? Miti, archetipi, saghe, religiosità sono aspetti che arricchiscono la sua poetica. Lui parla sempre di uscita dal 'decadentismo". È il pensiero positivo, l'aiuto culturale. Moralista? No, morale. L'uomo di oggi è artificiale. Lui vuole tornare alla natura, che è la fonte stessa dell'idea di bello. Carlo Sgorlon “ecologista". È legato alla natura non all'artificio. È un comandamento primario: quello di salvarla. Carlo Sgorlon e la 'natura" nella casa di Raspano. Dal '73 ci andiamo tutte le estati. La casa l'ha progettata lui. Ama le piante. Un esempio. Abbiamo acquistato all'asta dal Comune un terreno edificabile lì vicino, e invece ci abbiamo messo a dimora degli alberi. Restano i temi friulani della sua narrativa? Mi sento a disagio per tutti quegli autori che riprendono temi trattati da Carlo e dicono che nessuno l'aveva fatto prima. Cioè? Mi riferisco alle vicende dei cosacchi, alla tragedia di Porzûs, a quella dell'Istria. Di più, alla faccenda degli zingari, raccontati anche in rapporto alla Resistenza e ai campi di sterminio tedeschi, al disastro del Vajont. Sa cosa dicono? Che l'argomento non era mai stato trattato. Che non aveva avuto risonanza fuori dai nostri confini. Che nessun editore importante l'aveva pubblicato... Com'è il detto: «Carta canta»? Già. Non sto parlando di riconoscimenti o di bravura. Scrivere è «il mestiere di vivere» di mio marito. E la sua terra, oltre ad amarla, la conosce benissimo. E ha voluto che anche nel mondo la si conoscesse. Vogliamo parlare di invidia? Non è argomento che mi interessi. A me piace dire che tante storie di Carlo sono ambientate qui. Una su tutte. Parliamo di 'Filo di seta". Ha parlato di Odorico da Pordenone. Un esempio di rispetto reciproco tra la cultura italiana e quella cinese. Non so quanti pordenonesi conoscano quest'opera, conosciuta anche in Cina, e che valorizza la loro storia. O la storia di Marco D'Aviano, protagonista dell'Assedio di Vienna nel 1683 e sepolto nella Cripta dei Cappuccini... Stop. Ma voi, il mondo, l'avete visto? Poco. Una curiosità. L'aereo l'abbiamo preso insieme per la prima volta nel 2000. E siamo proprio andati in Cina, a Pechino. Ricordo con gratitudine Lu Tongliu, membro dell'Accademia cinese di Arti e Scienze, un grande italianista. I libri di Carlo li ha fatti tradurre. Ed è responsabile anche delle edizioni cinesi di poesie di Pasolini e di Marin. Perché i libri di Carlo Sgorlon sono vivi ancora? Sono belle storie, raccontate in modo epico e con umanità. Chi è suo marito? Un conservatore non di privilegi, ma di valori. E per lei? Un uomo libero e coraggioso. Gentile, non vendicativo. E un gran solitario. Tipo? Un romantico tedesco.
link dell'articolo sopra: https://ricerca.gelocal.it/messaggeroveneto/archivio/messaggeroveneto/2006/10/29/NZ_09_REGA1.html

Carlo Sgorlon
Seconda intervista (articolo scritto da Maria Balliana il 27 agosto 2019 - Messaggero Veneto)
Carlo Sgorlon scrittore sempre fuori dal coro. La vedova Edda Agarinis
«Ha vinto tutto, nessuno lo ricorda»
Edda Agarinis, custode della memoria, ha riordinato l’archivio. E promette: «Parlerò presto». L’antipatia di Pasolini
“Sgorlon, chi era costui?”. Non c'è traccia polemica o di sarcasmo nelle parole di Edda Agarinis Sgorlon. «Mi limito a esprimere un dato di fatto. Dopo una quarantina di romanzi, racconti, articoli, opere di saggistica, dopo traduzioni in tutte le lingue principali, compreso il cinese, dopo aver vinto tutti i più importanti premi letterari nazionali, oggi ben pochi sanno chi è Carlo Sgorlon».
Lo sguardo chiaro e fermo di Edda percorre il suo appartamento udinese dove suo marito, lo scrittore Carlo Sgorlon, scomparso il giorno di Natale del 2009, è presente e vivo in ogni centimetro quadrato: sui ripiani dove sono ordinate le varie edizioni delle opere pubblicate e le traduzioni, dal greco al lituano al giapponese; sugli scaffali che coprono le pareti con la sua sterminata e meticolosa biblioteca; nei colorati contenitori dove sono ordinati articoli, appunti, carteggi e soprattutto gli inediti; nei quadri da lui stesso dipinti. E ci sarebbero state anche le targhe dei premi e dei riconoscimenti ricevuti (Premio Strega, due volte il Campiello, Grinzane Cavour, Flaiano, Nonino, Hemingway, solo per citarne alcuni) se non fossere stati recentemente trafugati.
Qui c’è, non polverosa e ammuffita, ma pulsante e intensa, l’eredità culturale e letteraria di un autore schivo fino ai limiti della scontrosità che ha fatto dello scrivere l’unica, profonda ragione di vita. E infatti, diceva che «scrivere è vivere»; curiosamente la stessa frase ripetuta da Syria Poletti, un’altra grande autrice del tutto dimenticata in Italia, che con Sgorlon ha in comune le radici friulane e un profondo interesse per la cultura popolare.
Edda Agarinis, coniugata Sgorlon nel 1960, è la ferrea custode di questa eredità, ancora per molti aspetti da scoprire. Non una custode nostalgica e chiusa in se stessa, beninteso, ma una custode vigile che a 89 anni continua a “lavorare” con slancio e dedizione intorno all’opera del marito. Cosa che ha fatto sempre perché «sono stata io a battere a macchina, mentre Carlo dettava, le migliaia e migliaia di pagine scritte in cinquant’anni».
Ed è lei che ha ordinato e catalogato tutto quello che riguarda il marito, non solo le sue opere, ma anche quello che gli altri hanno scritto di lui, gli appunti, le lettere scambiate con i grandi autori del Novecento. Senza dimenticare il lavoro di traduzione e sistemazione di versi e articoli di Pietro Mattioni, nonno materno di Sgorlon, la cui influenza fu determinante –Edda ne è assolutamente convinta – per il destino del futuro scrittore.
Così, a dieci anni dalla sua scomparsa (2019), il mondo letterario di Sgorlon è a portata di mano: ricco, voluminoso, ma perfettamente rintracciabile e leggibile.
Il 20 dicembre prossimo, in occasione del decennale della morte, l’Università di Udine ha in programma un importante convegno su Carlo Sgorlon. «Io ci vado – afferma Edda – e intendo parlare». E di cose da dire ne ha davvero tante. Cose della minuta, ma significativa quotidianità, cose del pensiero e della poetica su cui Sgorlon ha fondato il suo lavoro di “cantore” della storia e della gente, in particolare della sua terra, il Friuli, di cui lui conobbe, bambino, l’operosità e l’orgoglio, il “saper fare” legato alla natura, le immaginifiche tradizioni ancestrali.
Ricorda come “creava”: «Il silenzio era il segnale che nella sua mente stava prendendo forma una storia. Ogni tanto buttava giù appunti su foglietti (che usava da ogni lato per non sprecare carta perché fu un ecologista ante-litteram) e poi, quando era giunto il momento, scriveva quasi di getto, con la penna, senza mai rileggere o correggere, ordinando i fogli sul grande letto matrimoniale. Alla fine, li riponeva per un mese, più o meno, come se dovesse staccarseli di dosso. Dopo, quando li riprendeva in mano per il lavoro di correzione, li leggeva come se fossero opera di qualcun altro».
La facilità di scrittura di Sgorlon è impressionante, come pure colpisce la sua modernità e attualità. Accusato di essere un “conservatore” e tenuto ai margini del mondo letterario più appariscente (ma a lui non importava granché, del tutto disinteressato com’era ai cerimoniali della mondanità intellettuale e del gossip da salotto), Carlo Sgorlon sviluppò le sue innumerevoli storie su temi non ancora di moda all’epoca.
Come l’attenzione all’ambiente, il rapporto con la natura, il consumismo senza regole che imprigiona l’uomo dentro le strette maglie dell’individualismo, i vecchi e i nuovi migranti, l’interesse per una scienza “da raccontare”.
Prevedendo, con qualche decennio di anticipo, lo sfacelo che tutti stiamo vivendo, come fece, in modi e toni del tutto diversi, Pier Paolo Pasolini che non amava Sgorlon («Ci siamo incontrati una volta sola: io gli tesi la mano, lui non mi guardò neanche in faccia», raccontò lo stesso Sgorlon a Franco Fabbro in una lunga intervista del 2007). «Quando Pasolini morì – ricorda la signora Edda – Biagio Marin insistette con Carlo perché scrivesse di lui, della sua tragica vita e della sua tragica morte. Alla fine, dopo molte esitazioni, si convinse e portò a termine un romanzo finora inedito. Ma rimarrà tale ancora perché io non posso dimenticare gli occhi di Carlo mentre leggeva le sprezzanti parole che Pasolini dedicò al “Trono di legno”».
Insensibile, dunque, ai fasti e agli onori, ma sensibile alle critiche ingiuste, Carlo Sgorlon pagò con la solitudine, l’esclusione, l’indifferenza il prezzo di non essersi mai schierato, di non aver mai cavalcato le mode editoriali, di essere rimasto coerente al senso profondo del narrare che per lui risiedeva nella ricerca del sacro e del mistero da cui scaturisce la vita dell’uomo e del creato.
Ricorda ancora Edda Agarinis: “L’ultimo viaggio lo facemmo a Pechino nel 2000 su invito del professor Lü Tong Liu in occasione dell’annuale “Settimana della cultura italo-cinese”. I due autori italiani al centro delle varie relazioni furono Luigi Pirandello e Carlo Sgorlon».
Sotto il link dell’articolo


Sotto altri link, dove potete ascoltare Carlo Sgorlon
https://www.youtube.com/watch?v=YmS9fh7gP0o
Per chi volesse approfondire la conoscenza di Carlo Sgorlon, consiglio di visitare la pagina internet:
Cari miei! Auguro a tutti voi una splendida settimana! Invece di pensare alle cose tristi della vita, soffermiamoci sulle cose belle! Se vi sentite giù, prendete in mano un libro di Carlo Sgorlon, lasciatevi abbracciare dalla sua narrativa e trasportare in luoghi sani per l'anima e il cuore! Buona lettura!
Ciao!
Come sempre attendo vostri commenti, riflessioni, canti, danze....ecc!
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